I DUE DIPINTI MURALI DELL’ABSIDE DEI SS. VESCOVI NELLA CRIPTA DEL DUOMO DI SALERNO.

 

(tratto dalla Tesi per l’esame finale del Corso di Restauro di Dipinti Murali di Maria Paola Bellifiori – Salerno 1990)

 

            Nei primi decenni del 1500 e fino a tutto il 1600, le popolazioni islamiche, specie dopo aver visto definitivamente stroncata la loro ambizione di dominare il Mediterraneo, intensificarono gli attacchi corsari a sud della nostra Penisola. (1 – “I Turchi, che approfittavano delle discordie tra la Francia e la Spagna, erano facilitati nelle loro imprese piratesche anche dagli effetti della pessima dominazione spagnola che, tra l’altro, vietava alle genti soggette di possedere navi di grossa stazza e manteneva la popolazione in uno stato miserevole. Inoltre il Governo Vicereale si dimostrò totalmente inetto ad approntare idonee misure protettive. La soluzione che il Vicerè Toledo oppose a questo problema fu quella di rinforzare le torri di avvistamento lungo il litorale e di costruirne delle altre. Il risultato di questo progetto fu di far aumentare le spese a carico delle già misere popolazioni, sia per i lavori che per il conseguente mantenimento delle guarnigioni, le quali restavano un vano tentativo di difesa contro queste orde piratesche che sempre più numerose sbarcavano mettendo a ferro e fuoco i paesi rivieraschi ed a volte anche quelli dell’entroterra.” G. Manzione, I CORSARI DELL’ISLAM, in EBOLI E LA VALLE DEL SELE NEL 1647)

I peggiori tra questi popoli islamici erano i turchi, tra i quali i nomi più noti sono quelli di Dragut Pascià e dei fratelli Arug e Khajr Al-Din Barbarossa.

Proprio a quest’ultimo nome, che italianizzato corrisponde ad Ariadeno Barbarossa, è legata la storia del miracolo a cui si riferiscono le due lunette della Cripta del Duomo, verificatosi il 27 giugno del 1542. (A. Capone, nel suo libro “Il Duomo di Salerno”, riporta l’evento con la data del 1544)

Nel dipinto a destra dell’altare dei SS. Vescovi è rappresentata la scena dell’assedio di Salerno, con le navi pirata che si stagliano tetre sul mare piatto, mentre dalle torri di avvistamento partono i segnali di allarme. Sullo sfondo il paesaggio Salernitano sembra assistere silenzioso e rassegnato alla tragedia che si sta preparando.

L’altro dipinto, posto di fronte, rappresenta il momento del miracolo, quando le onde si agitano improvvisamente, affondando gran parte della flotta pirata.

Questa fortunosa liberazione fu di tale importanza per Salerno e per la sua Chiesa che, nelle Costituzioni Sinodali del 10 luglio 1557, il Cardinale Arc. G. Seripando ne volle eternare il ricordo istituendo la festa del 27 giugno, che si è continuata a celebrare fino a pochi anni or sono. (A. Capone, “Il Duomo di Salerno”, Napoli 1929)

Dopo quest’evento ci furono altre incursioni che portarono nella città lutti e distruzioni di ogni genere, ma il ricordo della miracolosa liberazione rimase per i salernitani ulteriore motivo di profonda devozione all’Apostolo Matteo, per cui, proprio nel luogo ove sono conservate le sue reliquie, furono fatti eseguire questi due dipinti.

L’attibuzione di queste scene a Belisario Corenzio sarebbe avallata da alcune polizze esistenti negli Archivi degli Antichi Banchi Napoletani delle quali il D’Addosio riporta un elenco dettagliato in cui sono evidenti tre pagamenti a questo artista che ha eseguito anche gli altri dipinti murali della Cripta.

Con la prima del 16 giugno 1606, si pagavano 300 ducati in acconto per “…la pittura fatta et da farsi in la lammia del Subcorpo del Beato Apostolo San Matteo di Salerno…”.  Con la seconda, datata 27 settembre 1606, in seguito ad una relazione redatta dal Cav. Fontana, si pagavano al Corenzio “…che ha depinto tutta la lammia et facciate dove sono li sordelli di detta lammia nella Cappella Reale dove sono le reliquie dell’Apostolo San Matteo…” 100 ducati in acconto. Infine, con la terza, del 15 settembre 1608 si pagavano altri 100 ducati in acconto per aver fatto tanta opera in “…dipingere la lammia, mura et Cappelle del Subcorpo dell’Arcivescovato di San Matteo de Salerno,… dichiarando che quelle se li pagano acciò possa andare a finire tutto quello che resta a fare in detta opera…”. (G. B. D’Addosio, ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI SULLE CRIPTE DI SANT’Andrea in Amalfi e San Matteo in Salerno, Napoli 1909)

Il cattivo stato di conservazione e le numerose ridipinture, impediscono una serena lettura dei dati stilistici dell’autore, che paiono però legati più ad uno schema rappresentativo tipico delle vedute geografiche da stampa che ai modi delle rappresentazioni sacre. Dopotutto, stando alle fonti, la celebratività di queste due opere ha come oggetto il patrocinio dell’Apostolo Matteo sulla città di Salerno e sui suoi fedeli citadini, e non all’evocazione del fatto storico dell’assedio turco: ma dell’episodio sacro non vi è alcuna citazione, mentre con descrizione meticolosa, sono riportati tutti i particolari che inducono ad individuare senza ombra di dubbio il paesaggio con quello salernitano visto dal mare. L’impressione che se ne riceve è quella di dipinti eseguiti per ambienti laici non per la cripta di una Cattedrale.

Esplicativo ci appare il confronto con il grande dipinto su tela che si riferisce allo stesso episodio (Com’è noto, la tempesta del 27 giugno 1542 impedì anche che un gruppo di galere della flotta turca, diretto su Amalfi, la raggiungessero e saccheggiassero), eseguito da Ottavio De Liani (1690), che attualmente si trova appena si accede alla navata destra del Duomo di Amalfi. Le analogie iconografiche tra le due opere difatti sono minime: nella tela è sottolineato l’Evento Sacro con l’imponente presenza tra le nuvole dei Santi Matteo ed Andrea che portati da angeli si incontrano per dare aiuto alla città di Amalfi il cui paesaggio in basso alla scena è in secondo ordine rispetto ai suoi protettori. Al contrario, come detto, nei dipinti murali salernitani, tutto il racconto sacro è assente, affidato evidentemente alla memoria di chi osserva che, se ignaro del fatto, vedrà solo due vedute della città in diverse condizioni atmosferiche.

L’opera salernitana pare, pertanto, fuori dal programma culturale religioso dell’uso persuasivo delle rappresentazioni artistiche tipico del XVII secolo.

Spiega Argan (“L’Europa delle Capitali”, Ginevra 1964)“Ai fini dell’esistenza pratica e dell’utile la comunicazione a livello dell’immagine appare più efficace che quella a livello intellettuale della forma o del concetto, poiché implica un semplice <<prendere atto>> e non un impegno speculativo che avrebbe distratto dall’operosa praticità della vita”. Nella fattispecie manca appunto il semplice <<prendere atto>> .

Sempre citando Argan “Il volgo ignorante, i pagani, i primitivi, se non possono capire il linguaggio classico della forma, sono sensibili al messaggio delle immagini: nasce così una nuova copiosa iconografia di Cristo, della Madonna e dei Santi…e una nuova semplice diretta simbologia”. E’ la mancanza appunto di un chiaro richiamo simbolico a deviare il carattere sacro delle due rappresentazioni trattate e ad infondere dubbi sulla loro funzione o sulla loro autenticità dato che, come sempre G. C. Argan ci insegna “…tutta o quasi tutta l’arte del 600, su piani e con direzioni diverse, è animata da uno spirito di propaganda, almeno nel senso che le sue immagini agiscono proprio in quanto immagini e non per gli eventuali impliciti significati concettuali”.

L’agglomerato urbano raffigurato nelle lunette della Cripta del Duomo, corrisponde perfettamente alle antiche rappresentazioni a stampa della città di Salerno, in particolare “L’assedio” sembra abbia una netta relazione con la veduta salernitana riportata dal Pacichelli (Pacichelli, REGNO DI NAPOLI IN PROSPETTIVA DIVISO NELLE SUE DODICI PROVINCE, Napoli 1703), mentre il disegno di Scipione Galiano (1653) rappresentante Salerno assediata dai Francesi, riporta alle osservazioni precedenti per la presenza del Santo Apostolo Matteo che protegge la città.

Le scene rappresentate nelle due lunette, appaiono statiche e prive di coinvolgimento emotivo, anche per la completa assenza di figure umane; è quasi un’analisi topografica del paesaggio che è reale anche se pare sia riferito ad un’epoca precedente a quella dell’evento  citato, stretto dalle antiche mura, descritto con una precisione che ricorda, per l’impressionante similitudine di esecuzione formale, La Tavola Strozzi del 1464.

Per quanto riguarda l’attibuzione al Corenzio, essa è impossibile dato le osservazioni svolte in occasione di questo lavoro, e che di seguito si riportano.

Comparando le due opere salernitane con i paesaggi presenti in altre opere napoletane dipinte sicuramente da Belisario Corenzio, appare evidente la differenza stilistica e tecnica. 

In un primo momento, avendo avuto modo di osservare puntualmente la superficie con l’ausilio di un pinacoscopio si rilevò, attraverso alcune fessure dell’intonaco, la presenza di pigmento rosso che fece pensare all’esistenza di una sinopia sottostante. Questo, anche confortato dall’assenza in superficie di tracce di incisioni, spolvero o battitura di fili, poteva condurre alla figura di Corenzio (o dei suoi collaboratori) che,  era notoriamente un veloce esecutore di scene sacre e faceva appunto uso della sinopia. La comparazione con il resto della decorazione della Cripta mette, però, in chiara evidenza una frattura stilistica ed iconografica tra i dipinti in questione e tutti gli altri. In seguito, si osservò che  nell’abside delle SS.Vergini erano ancora presenti, nelle lunette laterali, residui delle decorazioni floreali eseguite probabilmente dal Corenzio. Le stesse decorazioni floreali si ritrovano anche nel vano posto sul retro della cappella dei SS. Vescovi, al quale si accede mediante un’apertura nascosta da un pannello in finto marmo. Questo vano fu occultato, in tal modo, in occasione dei restauri degli anni ’50, ed in tale occasione il Prof. Troiano eseguì  l’aggiunta visibile chiaramente sul lato destro del “Miracolo della liberazione”. Questa finale osservazione fa concludere che il pigmento rosso individuato al di sotto dell’intonaco delle scene con le vedute salernitane non è una sinopia ma una decorazione floreale identica a quella delle lunette dell’abside delle SS.Vergini. Quindi le due absidi in origine erano simili e solo in seguito nell’abside dei SS. Vescovi furono realizzate le due vedute con “l’Assedio” e “la Liberazione”, coprendo le antiche decorazioni.

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